Lo sfruttamento dell’”aiuto”: intervista ai driver di Amazon.

Lavoratore Amazon con pettorina gialla che copre di pellicola un carico di pacchi in un magazzino.

Durante l’incontro di formazione “Inchiesta e conricerca – Struttura e strategia di una conoscenza situata nelle lotte” abbiamo avuto la possibilità di approfondire degli esempi di inchieste che sono state fatte a partire da percorsi di lotta situati in varie parti del mondo. Ne è un esempio la con-ricerca femminista costruita dal Centro per la ricerca sociale CEDRA, con le lavoratrici al dettaglio in Slovenia; una parte di questa verteva a incrinare le bugie del capitalismo svelando i rapporti di potere e la manipolazione che viene usata per sfruttare i lavoratori e le lavoratrici per ottenere più profitto. A questo proposito, indagavano la differenza tra “collegialità” e “solidarietà di classe”, dove la prima è quel rapporto che si instaura tra lə lavoratorə nel momento in cui il padrone ne sfrutta strategicamente le qualità umane (in questo caso, la disponibilità ad aiutarsi) al fine di ottenere profitto. Durante la formazione abbiamo dunque riflettuto, partendo dalle nostre quotidianità lavorative, come le aziende sfruttano le nostre emozioni, le nostre caratteristiche personali e le nostre debolezze per il capitale. La discussione è stata animata e per questo abbiamo deciso di costruire un’intervista con i lavoratori e le lavoratrici di Amazon appartenenti al Ramo Logistica e Consumo del sindacato sociale MULTI, concentrandoci sull’organizzazione del lavoro di Amazon sulla base degli “aiuti”, un sistema di sfruttamento che non rientra nell’orario di lavoro salariato, che usa strategicamente le emozioni tra se stessi e tra colleghi e colleghe per velocizzare la consegna dei pacchi e dunque incrementare il profitto dell’azienda.

Glossario

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  • Aiuto: Attività lavorativa richiesta dal responsabile aziendale (DSP) al driver che, oltre alla propria rotta, deve contattare telefonicamente e poi raggiungere un altro collega che risulta “in ritardo” con le consegne. A questo collega vengono prelevati un certo numero di colli, che il primo driver prende in carico in aggiunta alle proprie consegne.
  • Collo: singolo pacco da consegnare.
  • Discontinuità: Termine previsto dal Contratto Collettivo Nazionale Logistica e Trasporti, che indica l’allungamento della settimana lavorativa da 39 a 44 ore (attualmente 42), senza retribuzione aggiuntiva. Tale estensione è giustificata come tempo di fermata e attesa compatibile con il lavoro nell’autotrasporto. Nel caso dei driver Amazon, questa clausola viene utilizzata in modo improprio e abusivo, calcolando fino a 54 minuti al giorno come tempo di lavoro non retribuito.
  • Dispatcher (DSP): Il termine “dispatcher” deriva dal verbo inglese to dispatch (spedire, inviare) e si riferisce a una persona o a un sistema che organizza e coordina il movimento delle risorse, sia nel contesto logistico che informativo. Nel sistema Amazon, i DSP sono le aziende appaltatrici del servizio di delivery (consegna dell’ultimo miglio). Queste aziende assegnano le consegne giornaliere ai singoli driver (autisti).
  • Driver: Autista o corriere che guida furgoni aziendali con carico Amazon. Il suo lavoro è disciplinato, nella maggior parte dei casi, dal Contratto Collettivo Nazionale Logistica, Trasporto Merci e Spedizione, in qualità di dipendente di un’azienda appaltatrice. Tuttavia, di fatto, il driver è sostanzialmente sottoposto all’organizzazione diretta di Amazon, che ne coordina l’attività quotidiana.
  • Jolly o “Helper”: Figura lavorativa che svolge la propria giornata in supporto agli altri colleghi. A questa figura non viene assegnata una rotta giornaliera specifica, ma ritira e consegna colli presi da diversi driver per aiutarli a completare le consegne.
  • Metrica: Sistema di valutazione e classificazione realizzato da Amazon. Riporta una vasta quantità di dati relativi alla quantità e qualità delle consegne effettuate settimanalmente dai singoli driver. Le metriche si basano sia sul giudizio dei clienti, sia sul rilevamento in tempo reale delle prestazioni lavorative tramite la piattaforma informatica di Amazon.
  • Rotta: Itinerario lavorativo assegnato a un singolo driver. Ogni rotta è composta da un certo numero di stop; ciascuno stop corrisponde a uno o più indirizzi di consegna. La rotta rappresenta l’insieme delle consegne giornaliere da effettuare e viene costruita sulla base del carico di lavoro assegnato alla station, della vicinanza tra i punti di consegna (zone), della performance del driver. Le prestazioni vengono registrate e usate per calcolare la media dei tempi di consegna, attraverso un sistema basato su intelligenza artificiale e sull’uso gratuito e completo dei dati forniti da driver e clienti.

Cosa sono gli aiuti? Come funzionano?

I dispatcher, i responsabili operativi delle aziende per cui lavoriamo, sono collegati tra di loro tramite un’applicazione che mostra in tempo reale tutte le rotte che stanno facendo i driver. Questa app genera delle metriche, ti dice: “quello è in ritardo di un quarto d’ora, quello di mezz’ora…”. Se tu sei in anticipo, l’app genera una richiesta per andare ad “aiutare” la persona in difficoltà. A quel punto un responsabile ti manda un messaggio, ti fa pressione per chiudere la rotta il prima possibile e andare a fare l’aiuto. Ti mandano il numero del collega e la sua posizione approssimativa: al resto devi pensarci tu.

Vuol dire che devi lavorare di più?

Fare l’aiuto implica quasi sempre che sfori il tuo orario di lavoro. Una volta mi hanno chiamato alle 14 per fare un aiuto, ma io avevo ancora varie ore di lavoro da fare, non sapevo quando avrei finito. Alle 17, orario in cui avrei dovuto staccare, mi hanno chiamato di nuovo per farmi andare dalla mia zona di consegna a quella dov’era il mio collega per fare “un aiuto”: solo andata e ritorno è un’ora in più. Intanto ricevevo gli audio di questo collega che dovevo aiutare: lui era nel panico, mi diceva di non andare. Quando ricevi gli aiuti, infatti, hai passato una giornata brutta: ti fanno pesare che non stai finendo la rotta, ti chiamano in continuazione. Vieni screditato e insinuano che non sei fatto per questo lavoro. 

Puoi rifiutarti di farli?

Se non fai gli aiuti vieni isolato. La mentalità che l’azienda vuole trasmettere è che siamo una squadra. In realtà, l’azienda vuole ottenere i bonus per la buona performance, e quindi finché li riceve ci considera una buona squadra. Per ottenerli, deve finire tutte le consegne. Per questo, al lavoro riceviamo spesso messaggi che ci dicono di non rientrare in magazzino: ci fanno rimanere per strada più a lungo, anche se avremmo finito il lavoro, così, se qualcuno buca la ruota o succede qualche incidente, un’altra persona che è in zona può andare ad assistere. Spesso finisce che ci sono molte più persone del necessario a fare l’aiuto; ma se non si sta a questi ordini veniamo sottoposti a delle punizioni.

Vieni trattat* in maniera diversa in base al contratto o all’esperienza lavorativa?

La loro politica è che cercano di mandare via i contratti indeterminati, i cosiddetti “fissi”. Per farlo, si organizzano per dare a loro moltissime consegne e farli sfiancare, mandando a loro in aiuto quei colleghi più ricattabili e disponibili. A quel punto, chi ha meno pacchi deve aiutare chi non ce la fa, ma è matematico che non ce la faccia: e non riesci ad andare avanti troppo tempo così. 

Spesso a fare gli aiuti sono ragazzi nuovi con il contratto a scadenza, che vogliono avere il contratto. L’azienda li usa come jolly, li tartassa in continuazione, li sfrutta finché non crollano.

Le consegne continuano ad aumentare: ogni tre mesi, in base alla tua performance, ti aumentano il carico di consegne. Per questo è fondamentale per le aziende finire la giornata al rientro in magazzino “a zero pacchi”: portare a termine le rotte significa che loro possono aumentarti i pacchi da consegnare, e così aumentare la performance aziendale e i propri bonus. Così, l’algoritmo che organizza la tua rotta si abitua a una velocità sempre maggiore, e nel tempo ti distrugge. Noi abbiamo cominciato con 80 consegne giornaliere e, in cinque anni, sono salite a 160.

Molti, col tempo, non ce la fanno più e abbandonano il lavoro. È un conflitto con l’azienda: per questo, alcuni si organizzano per far sì che risulti che alcuni pacchi non è stato possibile consegnarli. Così, però, passi indietro nelle metriche, diventi great o fair, mentre devi cercare di essere sempre fantastic, così che le aziende prendano il bonus. Ma a noi lavoratori non viene dato nessun bonus per il nostro lavoro. Rimanere indietro nelle “metriche” comporta un giudizio negativo dei DSP nei tuoi confronti che si può tradurre in negazione di permessi, riposi concordati, non farti fare il giorno in più di supplementare, ecc.

Cosa si prova a fare l’aiuto?

Ricevere l’aiuto e dare l’aiuto sono due lavori in più: c’è tutta un’organizzazione del lavoro che ricade su di te. Siamo costantemente monitorati dai nostri capi, e andiamo in paranoia, soprattutto quando cerchiamo di fare con calma. Quando sai di avere tanti pacchi, entri in una modalità robotica: cerchi di diminuire anche solo di qualche secondo il tempo di ogni operazione che fai, per fare presto. È bruttissimo arrivare alle cinque di pomeriggio che ti mancano 30 pacchi, anche se tecnicamente non è obbligatorio finire la rotta. Ma la realtà che noi viviamo è che siamo obbligati a finire la rotta. Così corriamo per finire tutti i pacchi entro le cinque, ma questo ci porta a fare errori o incidenti, cosa che aumenta i ritardi e peggiora l’ansia.

Alla fine finisce spesso che sei in anticipo sulle consegne, che è l’unico modo in cui riesci a portare a termine la rotta. Ed è in quel momento che scrivono un messaggio sul gruppo: “tanti di voi sono in anticipo”, e ti mandano a fare l’aiuto. È un sistema diabolico.

Il compito di metterti in contatto col collega è tuo: gli aiuti li facciamo sentendo i nostri colleghi su Whatsapp, mandandoci la posizione in diretta. Questo significa che dobbiamo usare il nostro dispositivo personale, che non è una cosa “regolare”, ma di fatto è così che succede ed è un’enorme favore che gratuitamente facciamo al sistema. Intanto dobbiamo andare avanti a lavorare, quindi la posizione del collega cambia e non ci si trova e si finisce a litigare. Se stai ricevendo l’aiuto, il tuo telefono comincia a squillare, mentre lavori, con il collega che ti chiama. Vai in ansia, magari ti viene un attacco di panico: questa è la realtà che viviamo.

Se ti succede qualcosa durante il tragitto, batti il furgone, ti fai male, tutta la colpa viene data a te: perché non l’hai detto? Perché non hai chiamato? Chi ti ha detto di fare così?

C’è davvero solidarietà tra i colleghi durante l’aiuto?

Quando vai a fare l’aiuto, hai paura che il collega ti dia quei pacchi che vanno consegnati nei punti più difficili o più lontani. Per questo cerchi di avere pacchi da consegnare in zone più semplici: ma capire quali sono è tutto un altro lavoro. Devi prendere il device del collega, guardare la sua mappa con il numero del pacco e l’indirizzo e questo crea un ritardo enorme, così il collega va nel panico.

Io stesso, quando ricevo l’aiuto, mi incazzo: si perde tantissimo tempo, mi sento umiliato. Non lo sento come un aiuto che viene fatto a me, ma soltanto all’azienda, per garantire che tutti i pacchi vengano consegnati.

A cosa servono gli aiuti all’azienda ?

Se non ci fosse l’aiuto, Amazon sarebbe un corriere come un altro, sull’aiuto è organizzato tutto il lavoro. L’obbiettivo è che tutte le rotte siano finite e quindi tutti devono portare a termine la rotta, se qualcuno non ce la fa, qualcun altro deve correre in aiuto. Questo perché in questo modo tutti i clienti ricevono il pacco prima del previsto. Così il godimento è massimo e aumenta il consumo e si riacquista un prodotto. Se invece il pacco ritorna in magazzino, non è detto che venga consegnato il giorno dopo (se non viene portato a termine l’aiuto); il cliente va in astinenza e non viene realizzato l’obiettivo del consumo. È il sistema dell’aiuto che regge tutto questo. L’aiuto avviene nel tempo della discontinuità, cioè ricevi o dai aiuto all’interno del lavoro extra, per gli aiuti non vieni pagato, però viene considerato orario di lavoro, anche perchè l’aiuto è considerato un ordine. Infatti, se cominci a rifiutarti di andare in aiuto è come se disobbedissi e si apre un conflitto; ma il contratto non è a cottimo, è a orario di lavoro. L’aiuto serve anche perché così si assicurano che porti sempre a termine la rotta, chiamandoti, pressandoti, mettendoti fretta di finire e così l’algoritmo si abitua alla velocità e tu devi stare nel tempo dell’algoritmo.

Come vi viene presentata la pratica dell’aiuto?

La mattina parti che i responsabili ti mandano un messaggio e ti dicono “per qualsiasi cosa, ci siamo, siamo qui per voi, attenzione alla sicurezza”, ma quello che succede mentre fai la rotta è l’esatto contrario. È una comunicazione fuorviante, perdi l’orientamento, non sai più cosa è vero e cosa non lo è. Loro usano un codice di condotta semplice, messaggi semplici, ti dicono “vai in aiuto”. E tu non capisci cosa è giusto, dare o non dare aiuto? Ma l’aiuto serve solo all’azienda, ma in ogni caso quei segnali contrastanti hanno funzionato. Lo fanno in base alla tua personalità. Loro sanno che c’è un gruppo di lavoratori su cui possono sfruttare il senso di colpa e allora per farti fare l’aiuto ti dicono “vacci tu dai poverino lui ha mille problemi”, ad altri colleghi invece (che sono più vicini ai responsabili) giocano sul senso di superiorità, li chiamano e li dicono “dai corri chiudi la rotta perché quel cretino non riesce a fare le consegne”. Ti fanno credere di essere una squadra, ma operano una divisione tra lavoratori e sfruttano le tue emozioni.

Cosa è per voi la vera solidarietà tra colleghi?

È difficile esprimere solidarietà tra colleghi, perché l’azienda è sempre insieme a te, nei pochi momenti in cui non sei con l’azienda (ovvero non sei col telefono), come quando fai benzina, quando sei nel tragitto per uscire dal magazzino, in quei piccoli ritagli di tempo in cui l’azienda non riesce a controllarti come al solito, c’è spazio per la solidarietà, anche darsi il buongiorno lo è, perché c’è un grande lavoro che fa l’azienda per tenerci tutti distanti. A volte è anche dal modo in cui fai o ti viene fatto l’aiuto, magari c’è complicità nel modo di dare i pacchi, per esempio quando dai al tuo collega i pacchi più semplici. A quel punto il collega si apre con te e parla di quello che fa l’azienda, di come lo trattano e manipolano e lì quindi inizia l’unione contro l’azienda, si crea un piccolo spazio per socializzare il modo di reagire alle difficoltà che l’azienda ti impone. Per esempio se ci sono delle contestazioni, o devi pagare delle franchigie, o se l’azienda si accanisce su di te perché ti vuole fare fuori. Lì puoi essere solidale con i tuoi colleghi, non rimanere indifferente. Lo spazio di soccorso del Ramo Logistica e Consumo di MULTI nasce anche per questo, per ridare il significato vero alle parole, perché soccorso è l’aiutarsi di fronte ad un’ingiustizia, non aiutarsi per l’azienda. Quello che facciamo allo spazio di soccorso è ascoltare in sicurezza, le persone che vengono trovano i loro colleghi, colleghi che hanno fatto la scelta di non accettare più il ricatto aziendale e a tirare fuori la verità per contestare quelle regole ingiuste che ti impongono, trovare modi per non andare in ansia per il loro controllo continuo durante lavoro (con messaggi, chiamate). Il vero aiuto è quello tra di noi.

Conclusioni

L’organizzazione del lavoro di Amazon si fonda sullo sfruttamento, uno sfruttamento che usa le conoscenze e le tecnologie della modernità piegandole al consumo e alla macchina di lavoro capitalistica. Così, per esempio, la conoscenza dei meccanismi psicologici diventa un’arma di manipolazione per ferire, incolpare, richiudere in se stessi sgomitando contro gli altri, perché la velocità, la competizione sono funzionali al profitto. Ed è così che l’algoritmo non solo guida le tue rotte, ma guida i tuoi movimenti “diventi un robot che compie dei movimenti specifici all’infinito”. Diventa un’organizzazione iper-fordista guidata da un’intelligenza artificiale, una macchina ancora più distante dall’essere umano. Così, quella di Amazon non solo è un sistema di organizzazione lavorativo che è l’emblema del capitalismo e dello sfruttamento, ma istituisce anche un nuovo ordine d’essere “dell’uomo macchina”, che esiste ed è caratterizzato in funzione del lavoro.

L’intervista ai driver Amazon aderenti al sindacato sociale MULTI offre uno spaccato nitido e potente del modo in cui l’organizzazione del lavoro può colonizzare anche le relazioni più umane, piegandole agli obiettivi aziendali. Il sistema degli “aiuti”, formalmente presentato come un gesto di cooperazione tra colleghi, si rivela invece una delle modalità più sofisticate con cui Amazon esercita controllo, ricatto e sfruttamento, attraverso la pressione psicologica, l’isolamento e il monitoraggio costante.

Quello che emerge è un meccanismo in cui la collegialità non è una libera scelta, ma un dispositivo strutturale, costruito per far funzionare un modello di efficienza fondata sull’intensificazione del lavoro individuale. Chi è “in anticipo” rispetto alla tabella di marcia viene sollecitato a “dare aiuto”; chi è in difficoltà si sente colpevolizzato, umiliato, esposto. Nessuno viene realmente supportato: l’aiuto serve solo a garantire che tutti i pacchi vengano consegnati e che l’algoritmo possa alzare ulteriormente gli standard di produttività.

Il racconto dei driver è carico di ansia, frustrazione, paura di sbagliare. L’uso strumentale delle emozioni da parte dell’azienda – il senso di colpa, la paura del giudizio, la pressione per “fare squadra” – si traduce in una forma di isolamento mascherata da cooperazione. I contatti tra colleghi sono spesso mediati da dispositivi personali, in situazioni non protette, senza retribuzione e fuori orario. L’aiuto diventa un lavoro nel lavoro, che acuisce l’alienazione invece di contrastarla.

In questo senso, la riflessione emersa nel percorso formativo, a partire dalla co-ricerca femminista del CEDRA con le lavoratrici del commercio in Slovenia, offre uno strumento interpretativo prezioso. Lì si distingue con chiarezza tra collegialità, intesa come cooperazione che rafforza la logica del capitale, e solidarietà di classe, cioè alleanza tra pari contro l’organizzazione aziendale. Come nel caso Amazon, anche nel settore retail in Slovenia i datori di lavoro sfruttano le qualità relazionali dei dipendenti – disponibilità, flessibilità, senso di responsabilità – per aumentare la produttività, rendendo invisibile il comando.

La vera differenza, allora, non sta solo nel gesto dell’aiuto in sé, ma nella sua direzione politica. Se il gesto rafforza il funzionamento dell’impresa e consolida l’algoritmo, è collegialità aziendale. Se invece il gesto nasce per proteggersi reciprocamente, condividere strategie di sopravvivenza o iniziare a opporsi, è solidarietà. Nei racconti dei driver emergono entrambi gli aspetti: c’è chi vive l’aiuto come imposizione e chi, in momenti liminali – una pausa al distributore, uno scambio al rientro – riesce a trasformare quell’interazione in un’occasione di riconoscimento e connessione autentica.

È qui che lo spazio di soccorso del ramo Logistica e Consumo di MULTI trova il suo significato più profondo: creare un contesto in cui la parola “aiuto” venga riappropriata dai lavoratori, strappata alla logica del profitto e restituita alla pratica del mutuo sostegno, dell’ascolto, dell’organizzazione. In questi spazi si rompe il silenzio, si nomina il disagio, si ridefinisce il senso del lavoro e delle relazioni, si riconosce il potere dell’esperienza collettiva.

In definitiva, ciò che questa inchiesta e questa esperienza ci consegnano è una verità semplice e scomoda: la solidarietà non nasce dalla cooperazione funzionale all’impresa, ma dalla consapevolezza condivisa del proprio sfruttamento. E solo a partire da questa consapevolezza si può costruire una forza collettiva capace non solo di resistere, ma anche di trasformare radicalmente il modo in cui lavoriamo, viviamo e ci relazioniamo.